Dogman è il nuovo film del regista Matteo Garrone, che uscirà in Italia il 17 maggio 2018. La storia che racconta si ispira ad un fatto di cronaca nera, avvenuto a Roma negli anni Ottanta, ovvero l’omicidio, in seguito ad efferate torture, del criminale e pugile dilettante Giancarlo Ricci per mano di Pietro De Negri, detto er Canaro. L’evento, classificato come uno dei più atroci omicidi romani, è noto ai più come, appunto, il delitto del Canaro. Comunque, il film di Garrone non vuole essere una copia della realtà, bensì un’esplorazione dell’animo umano e una divisione, come dice lo stesso autore, tra umani “erbivori” e “carnivori” – i nomi sono modificati, e la trama, pur prendendo spunto dal fatto di cronaca, possiede molti aspetti romanzati.
Pietro De Negri, soprannominato il Canaro della Magliana, nasce a Calasetta nel sud della Sardegna nel 1956. Negri deve il suo soprannome all’attività di toelettatore di cani che svolgeva in via della Magliana 253, nella zona popolare della Magliana Nuova a Roma. De Negri era un tossicodipendente e pregiudicato, mentalmente instabile e sopraffatto. L’uomo aveva 32 anni all’epoca dei fatti e agli occhi dei più rappresentava un uomo gentile e innocuo. Stando alle dichiarazioni dello stesso assassino, egli attirò Giancarlo Ricci, 27 anni, nel suo negozio col pretesto di rapinare due spacciatori siciliani, convincendolo a nascondersi in una gabbia per cani.
Una volta dentro, però, De Negri chiuse il lucchetto e iniziò la sua tortura incendiando il volto dell’uomo e poi stordendolo con un colpo alla testa. A quel punto lo tolse dalla gabbia e legò al tavolo amputandogli i pollici e gli indici d’entrambe le mani con delle tronchesi, cauterizzando poi le ferite con della benzina. Pare che De Negri mutilò al pugile anche naso, orecchie, lingua e genitali, introducendo poi il tutto nella bocca e facendolo morire per asfissia. Nonostante la morte, si accanì poi sul suo cadavere rompendogli i denti con un martello e infilandogli le dita recise nell’ano e negli occhi, aprendo infine il cranio per lavargli il cervello con dello shampoo per cani. Tutto questo avvenne tra le 15.00 e le 16.00 del 18 febbraio 1988 e nel frattempo De Negri si recò anche a scuola della figlia per prenderla e poi portarla dalla madre.
La sera, intorno alle 22.00, avvolse il cadavere in un sacco di plastica e lo caricò sul suo furgoncino, guidando fino alla discarica di via Belluzzo (in zona Portuense), dove gli diede fuoco, lasciando però intatti i polpastrelli in modo da rendere il corpo riconoscibile. A rinvenirlo fu un passante, la mattina dopo.
Questa brutale versione riportata dall’assassino, però, non corrisponde del tutto alla verità, almeno a detta dei medici legali che eseguirono l’autopsia, secondo i quali le suddette parti del corpo furono amputate dopo la morte, avvenuta sicuramente a causa delle martellate sul capo, responsabili di un’emorragia cerebrale. L’ex pugile perse la vita nel giro di circa 30-40 minuti e inoltre sembra che non sia mai entrato nella gabbia e che l’assassino non si sia allontanato per andare a prendere la figlia, mandando invece la cognata.
Il movente sarebbe stato quello della vendetta: De Negri fu complice del pugile per una rapina, per la quale fu l’unico ad essere arrestato, processato, per poi scontare 10 mesi di prigione. Una volta uscito dal carcere, De Negri si reca dal Pugile per riscuotere la sua parte del bottino, ma quell’altro afferma che gli sia stata rubata, di non avere dunque nulla da dargli. Per trovare soldi, De Negri entra in un brutto giro, e inizia a rubare e spacciare; ma non riesce in alcun modo a liberarsi della presenza del Pugile, che a intervalli regolari si reca nel suo negozio pretendendo di farsi dare soldi e lo minacca: per De Negri è un incubo. Passano così tre anni di prepotenze, estorsioni e minacce, durante i quali il Canaro cova un odio e un rancore per Ricci che cresce ogni giorno di più, che he culminano il 17 febbraio 1988, nell’efferato omicidio.
Grazie alla testimonianza di un amico del pugile, la polizia si mette sulle tracce del Canaro, che subito confessa l’atroce delitto senza mostrare nessun segno di pentimento. All’inizio del processo per omicidio, De Negri viene sottoposto a perizia psichiatrica, che gli riscontra un disturbo paranoico, l’incapacità d’intendere e di volere per via dell’intossicazione cronica da cocaina e ne esclude la pericolosità sociale. Il 12 maggio 1989, il Canaro viene messo in libertà, suscitando un grande scandalo mediatico. Dopo una settimana, De Negri viene nuovamente arrestato e viene rinchiuso in una struttura psichiatrica. Una nuova perizia condotta durante il procedimento di primo grado, ad opera dei professori Carrieri e Pazzagli, gli riconosce un’incapacità di intendere e volere solo parziale. De Negri viene così condannato definitivamente a ventiquattro anni di reclusione.