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Twitter non ha dimenticato lo scandalo di Ivy Park, la linea di moda di Beyonce

ivy park

Due anni fa un tabloid britannico rivelava che la linea di moda di Beyonce, Ivy Park, sfruttava le operaie in Sri Lanka pagandole l’equivalente di 60 centesimi all’ora.

La storia era stata accolta con grande scandalo, dato che la collezione, prodotta in collaborazione con Topshop, aveva come slogan “celebrare ogni donna e il corpo che abita mentre continua a migliorare”.

La copertina di Vogue America di questo mese, in cui Beyonce racconta di avere un padrone di schiavi tra gli antenati

Celebrare tutte le donne, eccetto quelle che passano le giornate a cucire magliette. L’inchiesta spiegava che le operaie vivevano in camere ammassate, con docce in comune con gli uomini, senza cucine, e coprifuoco la sera.

La risposta del brand era stata ancora più sconcertante, dato che dichiaravano di avere un “programma di commercio etico e rigoroso” ed erano “orgogliosi” del loro “sostenuto impegno nelle ispezioni e sondaggi delle fabbriche”. Ivy Park “si aspettava” che i fornitori seguissero il loro codice etico ma, evidentemente, non si assicuravano che le operaie fossero trattate eticamente.

Il mondo di Twitter non si è dimenticato di questa rivelazione, e si continua a parlarne.

È importante che le persone si informino sui danni che il fast fashion infligge a società e ambiente, e unirsi alla battaglia perché il sistema cambi. Non è solo colpa di Beyonce, ovviamente, ma se una grande persona che da anni è avvocato dei diritti delle donne si dedicasse anche a questa causa, sarebbe indubbiamente un passo avanti per modificare l’industria del fast fashion.

A questo proposito, calza a pennello l’intervista di Vogue di cui Beyonce è anche la cover. Un’edizione molto importante, dato che è la prima foto di un fotografo afroamericano ad apparire in copertina. La cantante racconta di aver scoperto che un suo antenato era un padrone di schiavi, che aveva sposato una schiava di cui si era innamorato – dicendo che vorrebbe fare qualcosa a proposito. Ecco, forse contribuire all’abolizione della schiavitù moderna, di smettere di produrre gonne da dieci euro sfruttando la forza lavoro asiatica, sarebbe un ottimo inizio.

 

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