È stato scritto che quelle di Frankie Casillo sono fotografie che potremmo fare tutti, solo che lui, invece di perdersi in chiacchiere, scatta davvero. In realtà, le cose non stanno proprio così: basta osservare con un po’ più di attenzione, ed ecco che dietro la freschezza e l’onestà si notano un certo gusto per l’eccentrico e un occhio allenato alle buone composizioni. A noi i lavori di questo cervello in fuga, nato a Foggia ma berlinese di adozione, sembrano divertenti, bizzarri o semplicemente bellissimi. Questa, invece, è la sua versione dei fatti.
Ciao, Frankie. Quando ho visto per la prima volta le tue foto, non sapevo che fossi italiano. Come mai vivi a Berlino?
Nel 2008 sono venuto qui in città per un concerto. L’atmosfera berlinese mi ha colpito all’istante, così dopo pochi mesi ho pensato: perché non fare un tentativo, un’esperienza senza troppi programmi o aspettative? Mi ero dato tre mesi. Il tempo è volato, e alla fine dei tre mesi mi sono reso conto che avevo così tanto ancora da scoprire e da godere che ho deciso di posticipare tutto a un anno. E ora mi ritrovo qui, dopo quasi sette.
Berlino non è una città facile, ma la qualità della vita è altissima. Sei libero di fare e di essere quello che vuoi, senza i pregiudizi e le pressioni di una società bigotta. Sono fiero e felice di essere nato in Italia, nel sud, ma sono ancor più felice ora, con il mio background, di vivere in un paese come la Germania. Non per sempre, ma per il momento credo di aver trovato qui la mia dimensione.
In quale parte di Berlino vivi?
Vivo a Friedrichshain, Berlino Est, con il mio fedele partner a 4 zampe, Dexter, un bull terrier miniature di due anni. Sto pensando di prendermi anche un english bull dog femmina, per completare il quadretto.
Hai un “tuo” posto?
Un posto che amo particolarmente è Insel der Jugend, un’isola sul fiume nel mezzo del parco di Treptowerpark, dove ho passato molto tempo con gli amici. E la foresta Grunewald, dove posso perdermi nei pensieri e godermi una passeggiata con Dexter.
Scatti molto all’aperto…
Molti mi definiscono uno street photographer, ma sinceramente a me non piacciono gli appellativi o i titoli. Ho altri progetti dove scatto in situazioni di intimità, e altri ancora dove lavoro in studio. Ma indubbiamente mi sto concentrando più sul mio progetto personale, ora.
In particolare, ho notato le foto che hai scattato in metropolitana. Mi piace quando le persone non guardano in macchina…
Non c’è nessuna foto posata, perderei tutto il fascino e il divertimento. Mi piace rubare momenti di vita nudi e crudi. Come dire… il posato is not my cup of tea. Non giudico altri stili o artisti, io mi diverto nel scattare cosi. Per me non è importante solo l’immagine finale, il piacere e divertimento stanno nel tempo che passa da prima dello scatto alla foto in frame.
Io ho posato solo una volta, per un’amica che studia all’Accademia di Brera. Per tutto il tempo ho continuato a pensare che magari non ero capace e non lo stavo facendo bene. Quindi credo di capire cosa intendi.
Esattamente. Se sai di essere fotografato, il tuo atteggiamento cambia, la naturalezza si perde. Quindi cerco di arrivare allo scatto senza che il soggetto mi noti, perché vengo affascinato dal momento esatto e non da un sorriso in camera. Quando è un gesto spontaneo a colpirmi, spesso poi la persona si arrabbia quando mi nota. Ma ormai è troppo tardi e lo scatto è già impresso sulla pellicola, quindi mi rimane solo che sorridere e continuare per la mia strada, sperando di essere perdonato.
Allora non ti chiedo neanche se preferisci l’analogico o il digitale. E credo anche che tu abbia già spiegato il perché…
Sì, per il mio progetto personale scatto in analogico. Adoro il tutti i rituali, e l’analogico è lento, si evolve dal momento prima dello scatto allo sviluppo, alla stampa, alla messa in frame. Non è così diretto e a volte freddo come il digitale. Ma capisco che in certi casi sia più consono e pratico usare il digitale, a seconda del progetto a cui stai lavorando e al tocco che vuoi dare. In definitiva, è il risultato che conta. Digitale o analogico non importa.
Com’è successo che da grande hai fatto il fotografo?
Ho risposto a questa domanda per un’altra intervista giorni fa, e non ci avevo mai pensato prima. Le mie scelte passate non andavano in questa direzione, anche se ho sempre amato la fotografia. Diciamo che ho fatto esperienze diverse, in ambienti diversi e con persone diverse, e che ho cercato così di spingere e trovare il mio potenziale.
Ho sempre scattato, fin dalle prime vacanze con amici, poi ho focalizzato i miei interessi e mi sono dedicato alla fotografia professionalmente. Non sapendo disegnare, mi sono piazzato dietro una macchina fotografica per dare la mia interpretazione della società in cui vivo. Sto semplicemente documentando il mio tempo, come spiega anche il nome che ho dato al mio sito e al mio progetto: life & stuff, con la libertà di poter spaziare senza restrizioni su diversi campi, dalla musica alla fotografia.
Life & stuff: il quotidiano, una leggera ironia e il dettaglio insolito, disturbante…
Mi piace, disturbante. È quello che mi dicono anche i miei amici più stretti. Io lo faccio naturalmente, e dopo anni mi ritrovo con questo filo conduttore. Credo che rispecchi molto la mia persona. Cerco di far sposare più elementi in unico frame, che si legano l’uno all’altro in sintonia o caos totale. Non esiste nessun buon soggetto in un background che non lega.
Di chi era quel concerto, la tua prima volta a Berlino?
Dei Radiohead.