La prossima settimana riparte VIAVAI, l’evento d’arte pubblica pensato e realizzato da Matteo Bandiello, Niccolò Fortunato e Biagio Villa, che fa del territorio salentino una galleria a cielo aperto. Durante l’edizione precedente, tra febbraio ed agosto 2014, oltre venti artisti di fama internazionale tra cui Alexis Diaz, 2501, OZMO e molti altri, si sono alternati realizzando opere sul territorio e creando nuove collaborazioni e sinergie con le comunità locali. Noi siamo rimasti molto colpiti dal progetto, tanto che quest’anno abbiamo deciso di presentarvi uno per uno gli artisti che ne faranno parte. Oggi tocca a CT, artista torinese che ha già dato il suo contributo alla prima edizione con una serie di lavori che si innestano tra le mura della città di Racale come delle piccole oasi colorate.
Ciao CT, un po’ del tuo background?
Sono nato a Torino trent’ anni fa. Ho frequentato il liceo scientifico per tre anni, poi son passato al liceo artistico ed infine all’Accademia Albertina di Belle Arti.
Come mai hai scelto CT come nome? Quelle due lettere hanno un significato particolare o è solo una scelta dettata dalla volontà di lavorarci graficamente?
Come spesso capita nel mondo del writing la prima questione da risolvere è trovare il proprio nome/pseudonimo: trovato il nome inizia lo studio delle lettere e poi tutto il resto. Per me è stato così e per molti anni ho cambiato tag ogni mese, cercando ogni volta un nome che fosse originale con delle belle forme da elaborare. Penso fosse il’99/2000 quando utilizzavo il nome CERST per disegnare e la forma contratta CT per abbozzare i primi throw-up. Con il passare degli anni l’interesse per il writing si è trasformato in mania per le forme utilizzando quelli che all’ epoca erano i materiali tipici della “street-art” (stickers/posters..) . CT è così diventato il marchio di fabbrica di tutti i miei lavori, si è completamente scollegato dalla tag ed è diventato, forse per caso, il filtro attraverso il quale poter strutturare un’indagine profonda sulla forma ed il contesto ad essa contrapposta.
Il passaggio dai graffiti al wall painting. Quali fattori ti hanno mosso?
Fin dall’inizio del mio percorso mi son trovato in una situazione di ambiguità stilistica che mi ha impedito d’essere incasellato in un ambito specifico di discipline quali graffiti, writing, street art, muralismo etc. Il mio lavoro fino ad ora si è basato sulla forma delle lettere. Questo ha un rimando diretto al writing. Le stesse lettere però le ho utilizzate come forme astratte capaci di rispondere ad esigenze grafiche. Il risultato è stato declinato poi sui muri ma a differenza della street-art, l’ho sempre fatto in luoghi abbandonati e non per strada. Negli ultimi anni poi queste ricerche son state portate su pareti più grandi (specialmente durate eventi ufficiali) cosa che rimanda sicuramente al classico “wall painting”. Questo per spiegare brevemente come non ci sia stato un vero e proprio passaggio da una disciplina ad un’altra, quanto più ad una evoluzione nel significato dei miei lavori dettate da nuove esigenza.
In che modo e in che misura le esperienze del tuo background personale (città in cui hai vissuto, rapporti umani, studi, musica…) hanno influenzano il tuo lavoro?
Sicuramente il mio lavoro è stato influenzato dal mio background: se non fossi nato a Torino e non avessi vissuto un certo contesto in un determinato modo non farei ciò che sto facendo oggi. L’interesse per le lettere e le loro forme probabilmente mi è stato tramandato da mio nonno, grande appassionato di calligrafia, araldica e di incisione. Disegnare lettere, abbozzare intrecci e schizzare composizioni è qualche cosa che ho sempre visto fare e soprattutto l’ho sempre ritenuto un terreno interessantissimo per mettersi in gioco, qualche cosa di estremamente intrigante ed elegante. Inoltre aver conosciuto persone con cui ho condiviso la mia passione è stato fondamentale soprattutto nei primi anni di sperimentazione. Il confronto continuo mi ha aiutato a crescere e cosa ancor più importate ha fatto si che concentrassi tutte le mie energie in un progetto ben preciso. Anche la città intesa come insieme di architettura, individui e storia ha avuto un ruolo fondamentale. La Torino post-industriale dei primi anni duemila offriva ,ed in parte offre ancora oggi, una serie di luoghi che uniscono monumentalità e decadenza capaci di diventare contesto ideale per i miei interventi. Grazie ai miei studi, poi, ho potuto approfondire questioni storiche dell’arte che han contribuito a raffinare il mio personale gusto e trovare, senza cercarlo coscientemente, uno stile che fosse in grado di rendere il più possibile originale il modo di interpretare l’arte urbana (fatta nella città). La musica ha rappresentato da sempre una colonna sonora per la fase progettuale del mio lavoro anche se non son mai stato un estimatore di un solo genere o di una sola cultura musicale. Nell’ultimo periodo però sono affascinato dalle sperimentazioni elettroniche anni ’80, coldwave francese e sintetizzatori.
La street art, per te è diventata un lavoro a tempo pieno? Quando ha iniziato ad essere così?
Ultimamente la ricerca continua sta prendendo gran parte del mio tempo. Non posso definirla street-art perché sto dipingendo molto poco in “strada”, ma il tempo speso per nuovi progetti ha le caratteristiche di un vero e proprio lavoro ed è anche il modo in cui riesco a guadagnare del denaro. Penso che quel che faccio sia diventato un lavoro dal momento in cui ho cambiato approccio ed ho incominciato a capire quale fosse il reale valore di quel che stavo facendo.
Hai mai pensato di sperimentare altre forme d’arte? Altri supporti, dimensioni, materiali, superfici…
Assolutamente sì. Nonostante non mostri quasi a nessuno i miei progetti gran parte delle cose su cui sto lavorando si scollegano radicalmente dai mie lavori passati. Questo non vuol essere un miglioramento de mio lavoro, ma semplicemente un’evoluzione coerente di quel che ho fatto. Sono convinto che un background nei graffiti possa portare ad altro che non sia solo dipingere grandi muri su commissione e tele.
Cosa pensi della street art in Italia?
La street-art italiana ha una scena di grandissimo valore con un forte potenziale che potrebbe dare un’ impronta nuova al movimento a livello europeo e non solo. E’ interessante come ci siano artisti capaci di esprimersi al meglio un po’ in tutte le declinazioni di “street art”: dai lavori figurativi, a quelli geometrici passando per le istallazioni e i poster. Purtroppo però manca un po’ di coesione. Negli ultimi anni ho notato che son venuti a mancare momenti di confronto svincolati dagli eventi ufficiali.
E di Viavai Project?
Viavai è Viavai. Credo che sia uno dei progetti più riusciti negli ultimi anni per quanto riguarda l’arte urbana in Italia. Il format è semplice e ricco di possibilità e ogni artista è messo nella condizione di esprimersi come ritiene meglio fare, senza limitazioni di nessun genere. Non è un festival in cui si ha una parete sulla quale dipingere è basta: Viavai e tutto il resto e anche quello. E’ un viaggio a contatto con una realtà molto dinamica fatta di persone autentiche capaci di avere uno sguardo sul mondo sapendo però quanto è importante il proprio territorio. Ho partecipato alla prima edizione nel maggio del 2014 e da allora posso dire di avere conosciuto degli amici, per questo son veramente felice di tornare a trovarli di nuovo quest’anno per lavorare insieme a loro.
Qual è la tua posizione riguardo il fatto che la street art stia entrando sempre più prepotentemente nei circuiti tradizionali dell’arte?
Vorrei essere felice ma temo che si stia creando una bolla, una moda che prima o poi finirà lasciando tutti quanti delusi. Le realtà che veramente mi affascinano sono quelle spinte da artisti con un background nella street art ma con una ricerca nell’arte contemporanea senza alcuna etichetta “urban”. Un certo tipo di muralismo portato su tela e di stencil su carta non mi appaga né da un punto di vista visivo né tantomeno concettuale…Il writing portato in galleria è stato un fenomeno innovativo ormai qualche decennio fa ; la street art di Banksy finirà col perdere il suo appeal e i grandi muri dipinti smetteranno di provocare scalpore e diventeranno grandi decorazioni in nome di una riqualificazione urbana che piace tanto alle amministrazioni comunali.
Consigliaci qualcosa da ascoltare guardando i tuoi muri: un album, una traccia, una playlist…quello che vuoi.
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