nel mezzo di una radiosa riserva naturale, in quel di Capo Gallo – là dove la montagna separa i golfi di Sferracavallo e di Mondello – una città fantasma sorga, indisturbata, in tutto il suo squallore. È lo scempio di Pizzo Sella, un’area di quel meraviglioso promontorio, sacrificata quarant’anni fa da una speculazione edilizia scandalosa.
È lì che Nino “l’eremita”, noto anche col nome di Isravele, ha scelto di consacrare il suo personalissimo “santuario”, ricavato all’interno del Semaforo borbonico, vecchio faro poi utilizzato come osservatorio militare.
Nino, classe 1950 – fisico asciutto, barba bianca e un italiano stentato, masticato, imbevuto di strascichi dialettali – di mestiere faceva il muratore. Dal 1997 Nino vive dentro al faro. Oggi per tutti è Israele, il nome della terra di Yahweh –mutato in “Isravele” nel 2013 – e di mestiere fa l’eremita. Giorno, notte, estate, inverno, la sua vita è tutta lì, senza comfort, sempre uguale. Una lunga preghiera solitaria, mettendo insieme le tessere di un mosaico spirituale.
Se il presidio, che ricade all’interno della Riserva naturale di Capo Gallo, è ancora in piedi, lo si deve agli interventi di ristrutturazione dell’eremita che lì abita, estate e inverno, ormai da una quindicina d’anni. Il merito più grande di questo bizzarro personaggio è quello di aver ricoperto gli interni del Semaforo con straordinari mosaici dal fortissimo impatto visivo.
Finezza tecnica, magniloquenza e complessità simbolica si intrecciano in quest’impresa folle, che parrebbe il frutto di un lavoro di squadra. E invece no.