La nostra intervista alla costumista Aurora Bresciani
Sebbene quello del costumista cinematografico sia uno dei mestieri più importanti e affascinanti in una produzione, è uno di quei ruoli le cui caratteristiche sono poco definite – almeno per i non addetti ai lavori.
Da dietro le quinte, un costumista non si occupa solo di abbinare, scegliere, cucire, scucire, tagliare capi d’abbigliamento; il suo è un mestiere creativo, che parte dai bozzetti e arriva ad un prodotto finito che deve essere non solo in linea con l’ambientazione del film, ma anche con il personaggio che veste. Vi è mai capitato di riguardare un film di cui conoscete molto bene trama e protagonisti, di osservare il look di un personaggio e pensare che un tipo del genere non avrebbe potuto scegliere altro che gli abiti che ha indosso? Ecco, questo è un lavoro di costumi ben fatto.
È un mestiere che ha necessariamente alle spalle una buona formazione e qualche anno di gavetta. Per comprenderlo meglio, abbiamo fatto una chiacchierata con Aurora Bresciani, giovane costumista cinematografica, che ci ha spiegato il suo ruolo, ci ha parlato del suo percorso e dei suoi modelli.
Ecco la nostra intervista.
Ciao Aurora, presentati ai lettori di Darlin.
Ciao Darlin! Aurora Bresciani, venticinque anni, bresciana, grande appassionata di cinema e moda, da qualche anno mi occupo di costumi (cinematografici, appunto).
Spiegaci per bene il ruolo di un costumista all’interno di una produzione.
Solitamente si è portati a riconoscere la figura del costumista solo in riferimento a rappresentazioni storiche o fantastiche; eppure, un costume non è semplicemente il risultato di un accorpamento competente di tessuti, fogge e colori. Il costumista deve saper raccontare una storia, uno stile di vita, attraverso quello che crea, e saper donare al personaggio una seconda pelle.
In un film contemporaneo, ad esempio, la sfida è ugualmente difficile, perché bisogna avere grande sensibilità per le mode e gli stili, che oggi sono infiniti. Pensate all’abito-polo e alla pelliccia di Gwyneth Paltrow e a tutti gli altri costumi de I Tenenbaum, o alle camicie hawaiane che indossa DiCaprio in Romeo + Juliet. Iconiche!
Quali sono generalmente le tappe del percorso per diventare un buon costumista? Qual è stato il tuo personale percorso fin ora?
Il costumista non è un artista solitario e non basta conoscere la storia del costume e avere buon gusto. Fare costume significa essere in grado di gestire le richieste di un regista, di un produttore, di rispondere alle esigenze di una storia e del contesto socio-culturale in cui essa si inserisce, saper valutare le caratteristiche fisiche di un attore, rispettare un piano economico, attenersi a delle scadenze, saper coordinare un reparto, gestire sponsor, conoscere le nuove tecnologie di post produzione e prevedere gli effetti delle luci di scena.
Io ho cominciato il mio percorso a diciannove anni al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, dove insegnavano Piero Tosi e Maurizio Millenotti (due grandissimi maestri del costume).
Ho imparato tanto da loro e i primi importanti film a cui ho potuto lavorare (007 Spectre e Zoolander 2) mi hanno aiutata a capire come funziona realmente il reparto costumi in una grande produzione e a gestire al meglio quello dei cortometraggi che giravamo ogni anno a scuola.
Hai qualche modello nel tuo ambito?
In generale, apprezzo molto la creatività e le scelte di colori tipiche di alcune costumiste come Coleen Atwood (Edward Mani di Forbice, Alice in Wonderland) e Sandy Powell (Velvet Goldmine, Gangs of New York), oppure l’eleganza unica dei costumi accuratissimi di Piero Tosi (Morte a Venezia, Il Gattopardo). La mia favorita indiscussa è, però, da sempre Milena Canonero (Arancia Meccanica, Marie Antoinette, Gran Budapest Hotel), forse proprio perché incarna il connubio perfetto fra questi modi di fare costume un po’ differenti che però trovo entrambi suggestivi allo stesso modo.
Qual è un film, secondo te, i cui costumi sono perfettamente azzeccati? Quale, invece, uno a cui si sarebbe potuto lavorare meglio?
I film della trilogia de Il Signore degli Anelli rientrano tra i miei preferiti in assoluto per molti aspetti, tra cui sicuramente la cura e la bellezza dei costumi; tutti hanno un’ispirazione storica di base che, insieme alla particolare attenzione ai dettagli, li rende epici in tutto e per tutto!
Al contrario, non mi sono piaciuti i costumi di Hunger Games. Gli stili cambiano troppo da un contesto all’altro e non mi hanno dato l’impressione di poter appartenere ad un medesimo indeterminato periodo storico o ad uno stesso mondo. Creare costumi fantascientifici non è sicuramente un’impresa semplice, ma ho preferito di gran lunga quelli di Divergent, la cui storia è molto simile a quella dei film con la Lawrence.
Quali sono i tuoi piani futuri?
All’inizio di quest’anno ho avuto l’opportunità di frequentare alcuni corsi presso la Gnomon School of Visual Effects di Los Angeles grazie ad una borsa di studio della Regione Lazio, e mi piacerebbe davvero poterci ritornare con qualche lavoro fra le mani! Al momento sogno di lavorare alla quarta stagione di Stranger Things. Ne sono ossessionata.
Per concludere, quali consigli daresti ad una persona che vorrebbe iniziare a studiare o lavorare come costumista?
Il lavoro del costumista è un lavoro faticoso e bisogna essere pronti a sopportare l’instabilità economica, le giornate senza sosta, le notti sul set, i set al freddo, i set al caldo, i set sotto la pioggia, amici e famiglia lontani e l’impossibilità di fare programmi a lungo termine, insieme allo stress che tutte queste cose insieme possono provocare.
È un lavoro che necessita anche di molta esperienza: non si smette mai di imparare e ogni lavoro è un’avventura da ricordare, nel bene e nel male. Affiancare un buon costumista è sicuramente il modo migliore per apprendere al meglio le infinite sfaccettature di questo mestiere.