La scorsa settimana è ripartito VIAVAI, l’evento d’arte pubblica pensato e realizzato da Matteo Bandiello, Niccolò Fortunato e Biagio Villa, che fa del territorio salentino una galleria a cielo aperto. Durante l’edizione precedente, tra febbraio ed agosto 2014, oltre venti artisti di fama internazionale tra cui Alexis Diaz, 2501, OZMO e molti altri, si sono alternati realizzando opere sul territorio e creando nuove collaborazioni e sinergie con le comunità locali. Il primo artista ad essere ospitato in terra salentina è stato CT, ve lo avevamo già presentato in quest’intervista. Oggi è arrivato il momento del secondo ospite della seconda edizione di VIAVAI: Guido Bisagni, in arte 108. Anche lui è un artista piemontese ed è molto amico di CT, pensa tanto (anche troppo a suo dire) e da piccolo è rimasto terrorizzato dai mostri con le mani rotanti del film “Ritorno ad Oz”.
Come fai ad essere sicuro di essere stato il primo writer ad usare numeri anziché lettere per il tuo nome? E perché proprio 108?
Non sono per niente sicuro, diciamo che quando decisi di cambiare tag verso la fine degli anni ’90, non c’era nessuno di cui io fossi a conoscenza in Italia o all’estero che usasse solamente delle cifre come nome e fu proprio per quello che, casualmente mi venne in mente. Stavo cercando di perdere ogni collegamento con la figurazione e con il reale e l’idea mi venne vedendo delle tracce sonore che stavo facendo e che catalogavo con dei numeri. Trovai il numero 108 ripetutamente in alcuni testi induisti e orientali che stavo leggendo, quasi sempre con me porto un mala che appunto è costituito da 108 palline, e mi sembrava adatto alla mia visione dell’arte, una pratica altamente spirituale.
Cosa hai realizzato per VIAVAI?
Io e CT abbiamo portato avanti un progetto insieme, abbiamo fatto 3 muri in combo e due “solitari”. CT è uno dei miei artisti visuali preferiti, lo conosco ormai da anni, ma pure abitando a meno di un’ora di distanza riusciamo a collaborare di rado. Credo che questo sia dovuto alla nostra “piemontesità”, siamo un po’ degli orsi. Comunque mi piace molto lavorare insieme, sia a livello personale, sia per il fatto che il nostro lavoro è da un lato molto vicino, astratto e semplice, dall’altro molto diverso, io irregolare e irrazionale lui molto preciso e ragionato.
Parlaci del tuo “Black Period”: come lo descriveresti e quali fattori hanno fatto da propulsori? Ne sei uscito o sei ancora nel tunnel? Come ha influito successivamente sul tuo percorso artistico?
Ci sarebbero un po’ di cose da dire al riguardo, per semplificare diciamo che io sono uno che pensa troppo e come tutti quelli che pensano troppo ho sempre finito per avvicinarmi all’abisso. Il colore nero quindi è stata solo la parte più esteriore di tutto un modo di fare e pensare che comunque mi appartiene. Inzialmente come 108 usavo spray (argento con outline nero) e pellicole gialle. Il giallo era diventato una specie di marchio e questo mi disturbava in quanto tutti lo vedevano come un simbolo di apertura, sole e spiaggia. Nello stesso periodo stavo abbandonando le strade e mi stavo rintanando con altri compagni tra fabbriche abbandonate e luoghi semi periferici, cambiando anche gli attrezzi che erano diventati rulli e pittura murale. Il nero è un colore difficile ma potentissimo, una volta provato per le mie forme semplici ed enigmatiche non fu più possibile lasciarlo. Simbolicamente inoltre era perfetto: “voi non mi capirete mai e io non voglio essere capito da voi”, ovviamente indirizzato alla grande massa, esattamente l’opposto di quello che stavano facendo molti che venivano dal writing e che scegliendo pupazzi e figurazioni varie cercavano di essere compresi ed accettati dal grosso della società. Io volevo proprio fare il contrario e non pensavo assolutamente che l’arte sarebbe potuta diventare un lavoro in futuro. Comunque io non vedo il nero come un colore negativo ma come il colore dell’introspezione.
C’è qualcosa che ti incutesse un particolare timore quando eri bambino? Una figura, una situazione, una persona, un pensiero… qualsiasi cosa.
Certo, varie cose che sicuramente tornano nei miei lavori. Ho sempre amato alcune cose che mi terrorizzavano, ad esempio chi mi conosce da un po’ di anni si ricorderà che nei primi 2000 facevo delle forme nere con delle rotelle. Usai quelle rotelle per la loro simbologia solare, ma mi resi subito conto che quelle cose avevano una loro vita. Li chiamavo “ciclorotanti” perché mi ricordai di un film che vidi da piccolo: “Ritorno ad Oz” in cui nella distrutta ed abbandonata città di smeraldo incontra questi rotanti, che al posto delle mani avevano delle ruote e ridevano in modo terribile. Quei personaggi e quella situazione surreale mi disturbarono molto da piccolo e mi rimasero dentro profondamente. Ovviamente si tratta di finzione, di un film che mi ha colpito profondamente nell’inconscio, cose che mi hanno sconvolto veramente e che continuano a farlo sono altre, come realizzare il fatto che in una società come la nostra esistono ancora posti come i mattatoi.
Alcune delle tue stampe mi ricordano le macchie del test di Rorschach. C’è qualcosa di preciso che dovrei vedere nelle figura nere? Secondo te devo preoccuparmi se mi sembra di vedere dei fantasmi?
No! Hahahah, io sono alla ricerca della “forma perfetta” traguardo impossibile, diciamo che cerco di fare forme che in qualche modo abbiano una loro anima. Quindi no, non c’è da preoccuparsi. Le macchie di Rorschach mi hanno sempre affascinato, è un altro caso in cui si incontrano segni e inconscio. Detto questo il mio percorso negli ultimi anni è andato verso l’astrazione, quindi ho cercato sempre più di allontanarmi dalla forme naturali e concentrarmi soltanto su forme e colori.
In che periodo della vita hai iniziato a percepire che ciò che stavi facendo sarebbe diventato il tuo lavoro?
E’ interessante perchè come ho detto più sopra non ho mai pensato all’arte come ad un lavoro. Per prima cosa perchè quando ero più giovane magari guardavo più ai graffiti, alla grafica o ai fumetti, il mestiere del pittore era quasi incomprensibile. Più tardi perché vedevo mescolare il guadagno con l’arte e mi sembrava un’eresia. La penso ancora così, vedo chiaramente che gran parte dell’arte è solamente artigianato fatto passare per diversi circuiti… Diciamo che a fare il pittore mi ci sono ritrovato casualmente. Ci ho iniziato a pensare verso il 2003-2004 qundo da un lato ho iniziato ad avere richieste da parte di gallerie e musei, dall’altro ho capito che non essendo di famiglia ricca quando lavoravo non mi restava più il tempo per fare niente, se non un piccolo hobby. Comunque ho abbandonato l’idea e l’ho ripresa più volte, il mondo dell’arte anche ai livelli più bassi può essere molto falso e deprimente.
A che età pensi che inizierai a sentirti vecchio? E cosa vuol dire per te “essere vecchio”?
Io mi sento già vecchio! Negli ultimi 3-4 anni sono invecchiato di colpo l’equivalente di 15-30 e lo provano le foto. Credo che sia un misto di vita irregolare, viaggiare e cambiare letto sempre, dormire poco, bere a volte un po’ troppo e l’ansia che da sempre mi accompagna. Comunque ci sono stati due momenti precisi in cui ho capito che ero invecchiato. La prima volta avevo circa 20 anni, la seconda più pesante è stata verso i 31 anni, in cui anche fisicamente ho capito che non ero più lo stesso. Ci fu una situazione scioccante in cui invitato ad una festa universitaria a Venezia, di colpo mi vidi come quei vecchi che vedevo alle serate quando ero più giovane, terribile. Smisi di parlare presi una bottiglia di vino e iniziai a bermela da solo seduto in un angolo guardando i giovani che si divertivano. Comunque per me essere vecchio è una cosa principalmente fisica, ci metti di più a recuperare, capelli bianchi, cose del genere.
Che importanza ha la musica nella tua vita?
La musica è importantissima, ho sempre suonato anche: prima in gruppi punk/hc poi con progetti sperimentali e rumorosi. Ascolto sempre musica anche se i miei gusti sono molto vari e sono cambiati nel tempo. A volte mi rendo conto che il mio stato di nervoso è dettato dal fatto che sto ascoltando la musica sbagliata o non ne sto ascoltando. Comunque per me la musica è indivisibile dalle altre arti.