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Intervista a Jairo Alvarez e la sua visione del surreale-realistico

Lo sguardo si perde in un’atmosfera rarefatta, limpidissima, in cui il silenzio potrebbe essere rotto solo dal canto dei grilli, e la figura umana è persa nella natura, quasi come un paradosso o un’allucinazione del dormiveglia. Le foto di Jairo Alvarez sono tutto questo: surreali, quasi Sci-Fi, attraversate da un’impercettibile malegria, latina come lui. Dopo un momento di spaesamento, per nulla spiacevole tra l’altro, abbiamo deciso di parlarne insieme, fregandocene felicemente delle barriere linguistiche.

Ciao Jairo, ci racconti con le tue parole chi sei e che cosa fai?

Sono un fotografo appassionato, cerco di trasformare le mie idee in realtà. Uso la fotografia come mezzo per esprimere le idee che mi attraversano la mente e lavoro alla produzione di ogni fotografia al fine di trasmettere a chi le guarda il loro carattere surreale-realistico. Generalemente lavoro da solo, dal concepimento dell’idea, l’abbozzo, la pianificazione, lo scouting, la selezione del modello (o la realizzazione di un autoritratto), fino allo styling, rendendo paesaggi, riprese e montaggio.

Cosa ci fa un fotografo venticinquenne argentino in Chianti?
Per caso ho sentito di un bando promosso dalla Macina di San Cresci, patria di artisti internazionali, lo scorso anno. Ho aderito all’ultimo minuto e sono stato uno dei vincitori delle due borse di studio e residenza artistica in questa istituzione. Così ho trascorso cinque settimane di lavoro in Chianti, e le ho trasformate in una nuova serie di fotografie. Si tratta di un luogo estremamente stimolante e spero di poterci lavorare di nuovo.
Parlaci un po’ di Slow Road Project          

Slow Road è un progetto congiunto tra la Macina di San Cresci, la Scuola di Architettura dell’Univesitá di Firenze, la Regione Toscana, il Comune di Greve in Chianti e le Fornaci Storiche di Impruneta. Io ero incaricato di fare le foto di questo nuovo circuito. Questo progetto è stato una grande sfida, e mi ha costretto a crescere molto come artista. Durante il mio soggiorno a La Macina ho cercato di creare un legame di comprensione con il paesaggio e la cultura intorno a me, in modo da essere in grado di versarla nelle mie idee. Nella serie realizzata lì, si possono vedere alcuni elementi comuni come i vigneti, testimonianza della coltura dominante di questa regione. Il gallo nero è un altro simbolo che ho usato, facendo allusione alla varietà di vino rosso “Gallo Nero”, che si coltiva solo in Chianti.

Nelle tue foto ci sono paesaggi sconfinati dai colori tenui e figure umane solitarie. Qual è lo stato d’animo di un tuo scatto?

Attraverso il mio lavoro esploro il mio intimo, sforzandomi anche di mostrare la mia visione della società di oggi, dell’uomo in generale, e dei suoi comportamenti. Cerco di creare fotografie con un’atmosfera in cui il tempo cronologico non è definito, ma che a sua volta si riferisca a situazioni quotidiane. Di creare uno spazio dove tutto è possibile, dove il mondano è mescolato con il surreale, in quanto è l’unico modo per essere a contatto con le mie idee, non sempre spalla a spalla con la realtà.

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