È morto il grande scrittore americano Philip Roth, ad 85 anni. È il New York Times, a riferire la notizia, confermata dall’agente dell’autore, Andrew Wylie. Roth, autore tra gli altri di “Pastorale Americana,” romanzo che gli valse il Premio Pulitzer nel 1998, e di “Lamento di Portnoy”, è morto nelle scorse ore. Il suo vasto lavoro è considerato un’esplorazione profonda e critica dell’identità americana, in è riuscito ad affrontare temi complessi e controversi, e cerare figure letterarie iconiche, da David Kepesh ad Alexander Portnoy. Lo scrittore viveva fra New York e il Connecticut.
Nato in New Jersey nel 1933 in una famiglia della piccola borghesia ebraica, Roth ha esplorato a fondo proprio quella sua storia familiare, la dimensione ebraica incastonata nell’America contemporanea. Il suo primo romanzo uscì nel 1959, “Addio Columbus”; dieci anno dopo, uscì il suo primo grande successo “Il lamento di Portnoy “. Con “Pastorale Americana”, del 1997, aprì un capitolo molto più esplicito nella sua osservazione politico-sociale, un lavoro che proseguì sulla stessa linea con “Ho sposato un comunista” e “La macchia umana“. Nel 2009 aveva pubblicato oltre 30 libri, tradotti in molte lingue.
Roth è stato un sostenitore di Barack Obama e aveva criticato fortemente il presidente George Bush Jr. Ultimamente aveva attaccato più volte Donald Trump: nel corso di un’intervista concessa al quotidiano francese Liberation lo aveva definito un ignorante e un bugiardo.
L’ultima opera è “Nemesi” del 2010. Poi Philip Roth decise di abbandonare la carriera da scrittore. L’annuncio è del 10 novembre 2012, in un’intervista alla rivista francese Les Inrockuptibles: “Alla fine della sua vita il pugile Joe Louis disse: ‘Ho fatto del mio meglio con i mezzi a mia disposizione’. È esattamente quello che direi oggi del mio lavoro. Ho deciso che ho chiuso con la narrativa. Non voglio leggerla, non voglio scriverla, e non voglio nemmeno parlarne”.