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Club to Club 2018: una storia che continua anno dopo anno

di Vincenzo Bilotti

Si è appena conclusa la diciottesima edizione del Club to Club, e la prima impressione che ho avuto è stata quella di trovarmi in un festival di caratura internazionale non solo per line up, affluenza sostenuta per tutta la durata dei quattro giorni e la presenza di una grossa fetta di pubblico straniero, ma anche per il viaggio musicale che è stato offerto: come i vari act si sono incastrati tra di loro. Non erano tanti e non erano divisi in tanti palchi, ma legati con una visione ben precisa.

Non il solito festival, dove a farla da padrone sono i soliti super nomi da cartellone, ma un evento dove si è cercato di raccontare qualcosa, in continuità con le edizioni passate: un tentativo di creare una storia che possa continuare di anno in anno. Ecco uno dei motivi per il quale, a mio avviso, almeno la metà delle persone presenti al festival non era attratta dai nomi in line up.

In effetti, ad eccezione di Aphex Twin e degli altri tre headliner, tutti gli altri nomi in Italia attirerebbero un centinaio di persone al massimo, mentre al Lingotto (non proprio uno dei miei posti preferiti), quella sera, la maggior parte del pubblico era mossa dall’idea che Club to Club ha voluto trasmettere in questi ultimi anni. Questo è l’aspetto più meritevole di lode: un lavoro di educazione enorme che spinge le persone a muoversi non solo per i nomi, ma anche per tutto quello che sta dietro.

Un’idea che genera cultura per la scena underground e che spinge tutte le persone legate in qualche modo, in qualche misura, a questo mondo a doverci essere, proprio per l’aurea che gli organizzatori sono riusciti a creare intorno al Festival. Anche il concept narrativo trainante (il contrasto tra la luce e il buio) è stato molto azzeccato, come del resto tutta la comunicazione svolta.

La campagna di Absolut si è collegata a questo concetto in modo naturale: il contrasto tra odio e amore, tra razzismo e uguaglianza, tra colori scuri e colori accesi è stato molto forte ed è arrivato dritto alle persone. L’Absolut Symposium, d’altra parte, è stato il cuore pulsante di tutta l’organizzazione, che sotto l’aspetto logistico è stata perfetta. Sicuramente si è riconfermato come il miglior festival italiano e uno dei migliori in Europa ma un festival così impegnativo deve pure beccarsela qualche critica.

La maggior parte sono dovute alle leggi e alla cultura italiana non ancora troppo pronta alla legittimazione assoluta della musica elettronica, ma tanto legata ancora ai preconcetti sulla cosiddetta “musica dei drogati”: i cani all’ingresso, il sequestro degli accendini, l’alcol che non poteva essere servito dopo le 3.

Si poteva lavorare meglio però sull’acustica della sala, sugli allestimenti, sui servizi offerti, tra cui il bar e i bagni. Proprio la cura per i servizi igienici, nello specifico, traccia una linea di differenza tra l’Italia e altri paesi dove persino le persone più anziane riescono a sentirsi a proprio agio nei bagni di un festival.

Parlando di musica e di show in generale, va messo assolutamente in evidenza lo spettacolo di luci, laser e visual che è stato tirato su. Ovviamente il concerto di Aphex Twin è stato il momento di maggiore impatto e ha assorbito tutto il resto, per clamore, per l’attesa, per la spiritualità o semplicemente per l’importanza che rappresenta e ha rappresentato nella scena elettronica mondiale. Un’ICONA. Spettacolo di luci mozzafiato. Selezione musicale folle dalla acid alla noise, dalla rave alla break, dalla techno alla drum n bass. Visual con le immagini di tanti volti trasformati o meglio trasfigurati come quello di Rita Levi di Montalcini e altri piemontesi noti. In ogni caso uno show del quale si parlerà per i prossimi dieci anni.

Al secondo posto, così provando ad improvvisare un podio personale dei migliori act, metto sicuramente il dj set di Jamie XX, che ha dato il via alle danze il venerdì. Incalzante sin da subito con un avvio tutto oldschool UK / Jungle, contornato nel mezzo di tante sue tracce tra cui ‘Seesaw’ che ci ha mandato tutti nella troposfera e conclusosi in chiave disco con un bellissimo tributo ad Ornella Vanoni ‘Ti Voglio’.

In un sabato completamente dominato dallo show di AFX gli unici ad emergere davvero sul main stage sono stati i Blood Orange: eccezionali. In cuffia non mi avevano mai esaltato prima di quel giorno ma vederli dal vivo è stata tutta un’altra cosa. Un live bellissimo con una formazione vastissima, dai fiati alle tastiere ai coristi. Un incrocio tra nu soul, funk e R&B. Den Hynes un assoluto genio.

Anche il live dei Beach House è stato intenso, uno spettacolo magico, bellissimo non solo da sentire ma anche da vedere, anche se loro più di altri hanno risentito di problemi di acustica. Meritano una grossa menzione inoltre Skee Max, Bienoise ed Elena Colombi che ha dimostrato ancora una volta di essere una grande selector.

Un po’ meno bene Peggy Gou, non per i fischi causati dalla maglia della Juve che indossava, ma per la selezione, meno eclettica e acid del solito. Parte molto bene ma poi finisce per essere monotona e di poca personalità. Molto interessante il set di Avalon Emerson invece: il giusto mix musicale, messo insieme magistralmente, per chiudere il main stage del venerdì. Si è confermata una delle migliori dj del momento.

VINCENZO BILOTTI
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