Darlin Magazine

Abbiamo incontrato lo street-artist OZMO

In un’uggiosa mattinata di metà Gennaio abbiamo trascorso un paio d’ore nello studio di OZMO fra tele, pennelli e vari oggetti sporchi di vernice per fargli qualche domanda sul suo lavoro.

Foto di Alessio Bruna

Iniziamo dal tuo nome: Gionata Gesi, conosciuto anche come OZMO. Che significato ha, se ne ha uno?
Sì, c’è un perché formale: quando a metà anni ’90 ho iniziato a fare graffiti, in Italia non era ancora molto presente la cultura del figurativo e pochissimi erano i writers che disegnavano cose che non fossero lettere. Ho scelto il nome OZMO perché così al posto delle due O avrei potuto inserire un puppet (un viso) oppure un elemento figurativo, è quasi una questione tecnica. E poi la M e la Z sono comunque due lettere fighe.

La serie di fonti che tendi a “remixare” nelle tue opere va dall’arte antica a quella contemporanea, simboli e riferimenti enciclopedici. Oltre a ciò, quanto c’è nelle tue opere di derivante dalla fantasia più pura e meno influenzata da stimoli artistici esterni? Quanto conta per te la fantasia?
Beh, direi che quello (la fantasia) è il collante invisibile che lega tutto. Gli elementi X, per i quali attingo dalla tradizione non necessariamente artistica, sono cose che preesistono indipendentemente dai miei disegni, che incontro nella vita di tutti i giorni e poi anche nella pratica artistica. Alla base però c’è la fascinazione per le immagini, è un qualcosa che subisco sin da bambino ed è l’attitudine che muove tutto.

Per alcuni anni ho anche smesso di disegnare a mente, nel senso che il fatto di poter attingere non solo dalla mia fantasia ma anche da immagini esterne è stata un’idea che mi ha dato un sacco di spunti e mi ha permesso di agire in maniera abbastanza neutra… un po’ come se le figure che copiavo fossero dei ready made. E poi c’era anche l’aspetto del furto, ossia di appropriarsi indirettamente prima di tutto degli spazi urbani e poi anche delle fonti, riprendere dei quadri famosi…

Foto di Alessio Bruna

Ad esempio i draghi, i cavalieri e le dame di Paolo Uccello? Lui certamente non si sarà incazzato per il furto.
Incazzato sicuramente no, essendo vissuto nel ‘400… però se gli avrebbe fatto piacere non lo so…
Poi ci sono stati dei quadri che ho effettivamente copiato senza aggiungere né togliere niente.

Per esempio?
Ad esempio “San Michele sconfigge Satana” di Raffaello. L’ho fatto per la prima volta sul muro del Bulk, nel 2005. Ricordo che in quell’occasione è successa una cosa buffa: stavo dipingendo e ad un certo punto si avvicina uno della digos per farmi i complimenti. Io rimango perplesso. Poi si dirige verso i ragazzi del Bulk e li ringrazia per avermi fatto dipingere San Michele asserendo però che il Santo in questione è nientemeno che il protettore degli sbirri! Giuro che nessuno di noi sapeva niente.

Se potessi tornare indietro nel tempo in qualsiasi epoca, con quale artista ti piacerebbe fare un featuring?
Abbè, sicuramente Leonardo Davvinci (e nel pronunciare questa frase l’inflessione toscana della natia terra di Ozmo zampilla). Non c’è dubbio. Tra gli artisti rinascimentali era colui che ha utilizzato la pratica pittorica per indagare la realtà. Lui è esattamente questo: se faceva un disegno era perché aveva un dubbio in testa e doveva risolverlo. Disegnare era sempre un atto con un fine pratico, che fosse la macchina di sterminio dalle mille lame per il duca, l’elicottero o una madonna col bambino, Leonardo attraverso le sue opere indagava la realtà. È ciò che trasuda da tutta la sua arte ed è questo che mi piace.

Foto di Alessio Bruna

Parliamo di qualcosa di più recente: ho visto dal tuo account instagram che hai iniziato a dedicarti anche ai tatuaggi.
Sì, sono circa sei mesi…

Come mai questo cambiamento di superficie?
Mah, volete la verità o le stronzate paracule che dicono gli artisti?

Tutte e due.
Ok allora faccio un mix delle due: ad un certo punto qualche amico (anche tra quelli artisti) ha iniziato a tatuare, così mi sono appassionato ed ho iniziato. Dopo varie prove su tele, pelli etc. mi è capitato che un giorno qualcuno mi graffiasse la macchina parcheggiata; quando l’ho vista ho pensato: “Cazzo, mi devo graffiare pure io”. Mi sono tatuato una rosellina sulla coscia, è stato il primo tatuaggio che mi sono fatto da solo. In realtà ho anche tutta la schiena tatuata, ma non da me.

C’è qualche tatuatore che ti piace particolarmente?
Non ne seguo molti a dire il vero, però alcuni che apprezzo sono Pietro Sedda e Philip Yarnell ad esempio. Il fatto è che ce ne sono anche molti altri che se la menano molto più degli street artists… nessuno ti insegna i trucchi del mestiere, da oggi smetto di dare dritte artistiche a chi me le chiede…

I tuoi genitori ti hanno sempre supportato nelle tue aspirazioni artistiche?
Sì, i miei mi hanno sempre supportato, questo è stato importante. Quando ho cambiato scuola per passare dall’istituto tecnico al liceo artistico mia madre era contenta ed ha convinto mio padre che invece era scettico a supportare la mia scelta investendo in lezioni private per rientrare al quarto anno di liceo.
Inoltre il fatto di avere il loro appoggio e consenso mi ha sicuramente responsabilizzato: vengo da una famiglia non ricca e se oggi vuoi fare l’artista non dico che devi essere un figlio dell’alta borghesia, ma di sicuro per avere delle sicurezze e le conoscenze in alto fa la differenza. In Italia e specialmente a Roma le cose vanno avanti ancora in questi termini.

A proposito, becchi di più quando ti presenti come OZMO?
Hahah, io mi presento sempre come Gionata. Quando scoprono che sono ozmo a volte fanno finta di non conoscermi, a volte non mi conoscono davvero… a volte invece funziona.

Quando hai iniziato a fare mostre e a comparire in contesti istituzionali, come hai vissuto l’ ingresso in questo mondo? hai ricevuto critiche negative? come sei stato accolto? ti sei mai sentito di tradirti in qualche modo?
Mah, non l’ho vissuta in maniera drammatica. Per me cambiava solo il nome con cui venivo presentato. È invece attraverso un’ etichetta, una definizione che mi sento di tradire me stesso. Non mi sento uno street artist perché vedo quello che il 90% degli street artist fa e mi sembra una pratica abbastanza superficiale; se mi si definisce artista allo stesso modo si annulla tutta una serie d’ esperienze che sono parte di me, come quella che ho avuto nell’underground. Critiche dirette non ne ho ricevute, ma posso dirti, ad esempio, alla mostra che ho fatto a Milano al museo del ‘900 tanti colleghi non sono venuti. Come quando ho inaugurato il muro “Voi valete più di molti passeri”, a Roma. Non c’era manco uno street artist romano. Se fosse una critica non lo so, so solo che se a Londra uno street artist fa un’ installazione al museo d’arte contemporanea i suoi colleghi sono presenti, perché sentono di riceverne qualcosa, non sono derubati di nulla. Evidentemente in Italia pensiamo in modo diverso.

Foto di Alessio Bruna

Hai mai fatto lavori su commissione il cui soggetto non era esattamente di tuo interese?
[pausa piu lunga del solito….] Le marchette mi stai chiedendo in prartica? mah in generale chi mi contatta lo fa perchè sono ozmo, quindi necessariamente sa chi sono e cosa faccio. Generalmente se una cosa non mi interessa dico di no. Anche se qualcosa di simile, “prestare la mano” intendo, ammetto di averlo fatto: alle ultime sfilate di Prada ho dipinto due pannelli giganti per la sfilata donna, è stata una buona occasione per lavorare al fianco di altri bravi street artist come Zamoc da Modena, El Mac da Los Angeles, Stinkfish dalla Colombia, Gabriel Specter da N.Y. e Mesa dalla Spagna. Miuccia ha apprezzato.

Il luogo comune sulla street art che ti sta più sulle palle?
Questa contrapposizione street art-graffiti, o meglio, sovrapposizione. La definizione street art mi sta sulle palle ormai, ma non perché lo abbia deciso io, è che me l’han fatta stare sulle palle. Sai è un po’ come quando inizi a fare qualcosa per primo e poi tutti quanti ti seguono solo perché diventa di moda. Vedere delle persone che sono arrivate solo qualche anno fa e iniziano a fare le cose che tu hai sempre fatto spontaneamente, senza volerci svoltare soldi, mentre ormai si fanno cose in strada principalmente per vendere tele e disegni ai privati. Ti devi mordere la lingua perché altrimenti rischi di passare per il vecchietto bacchettone e antipatico. Ormai avrei mille buoni motivi per odiare la street art, ma fortunatamente altrettanti per continuare ad amarla…

Progetti per il 2014?
Ritrovare il piacere di dipingere.

Reportage a cura di Tommaso Sorgentone

Exit mobile version